Martedì 21 febbraio la saletta della biblioteca dell’area pedagogica era gremita all’inverosimile per l’appuntamento che la redazione di Ne vale la pena aveva con la presidente facente funzioni del Tribunale di sorveglianza di Bologna dottoressa Mirandola. Tutti i detenuti e i volontari del laboratorio di giornalismo presenti.

L’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Ma la sorpresa è stata che la dottoressa Mirandola, accompagnata da padre Marcello Matté che aveva promosso l’incontro, era affiancata dalle tre magistrate di sorveglianza dottoresse Manna, Minotti e Caravelli. A fare gli onori di casa il vicedirettore della casa circondariale di Bologna dott. Bianchi.
Fabrizio ha rotto il ghiaccio con una breve descrizione dell’attività svolta dalla redazione di Ne vale la pena nei suoi dieci anni di attività, evidenziando che ogni anno i lavori del gruppo si sviluppano lungo un percorso tematico che viene concordato fra i partecipanti per dare organicità a tutti gli approfondimenti, gli spunti di riflessione, le discussioni che via via vengono affrontati in merito al sistema detentivo ed alla vita in carcere.
L’anno del decennale è stato dedicato alla “Parola”, ed in particolare al linguaggio che caratterizza e connota la detenzione. Per il 2023 la redazione ha voluto raccogliere l’invito della direttrice del carcere dottoressa Rosa Alba Casella ad approfondire e declinare ai diversi livelli istituzionali il concetto di responsabilità.

La prima domanda, rivolta alla dottoressa Mirandola, è stata proprio finalizzata a capire cosa intende lei per responsabilità della persona privata della libertà nel processo di risocializzazione.
“Responsabilità è guardare l’altro” e “fare agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi”; viene di conseguenza il rispetto delle regole e l’altruismo. Il processo di rieducazione comporta accettare le conseguenze delle proprie azioni e anche rispettare la condanna che è stata inflitta. Il carcere è un’opportunità per costruire progetti e investire le proprie risorse per individuare un percorso di legalità, mantenendo sempre lo sguardo sugli altri. In un processo di risocializzazione non è contemplata la possibilità di fare i furbi. Diversamente vincerebbero i più forti, concetto questo superato dalla moderna impostazione giuridica. Non è sempre facile comprendere gli errori commessi. Occorre un lavoro di introspezione guidato da tanta pazienza e calma, che alla fine porterà anche ad accettare i rigetti. Il voler sempre ributtare la palla dall’altra parte, attribuendo a fattori esterni la causa della propria condizione, non fa comprendere gli errori commessi ed esula dal concetto di rieducazione. I reclami al magistrato di sorveglianza, ad esempio, spesso inopportuni, non fanno altro che intasare la cancelleria del tribunale e rendere più difficili e lente le risposte alle legittime aspettative degli altri detenuti.

Quanto alla domanda sulla rieducazione la dottoressa Mirandola ha sottolineato che non basta partecipare a corsi o “fare cose” considerandole già un punto di arrivo, perché le opportunità che il carcere offre sono solo propedeutiche a un percorso basato sull’introspezione e sulla ricerca di un reale cambiamento personale.
Considerata la grande disponibilità a rispondere, si sono susseguite domande inerenti la fruizione dei permessi premio ancora, a quanto risulta ai redattori, “chiusi” pur dopo l’emergenza Covid, e sui tempi per la risposta alle istanze di “provvisoria”.
A queste domande hanno direttamente risposto le magistrate di sorveglianza Manna e Minotti, sostenendo che la valutazione sulla fruizione dei permessi è frutto di un’attenta valutazione sulla persona del detenuto che, al di là del Covid, va in qualche modo verificata work in progress. Il tribunale di sorveglianza di Bologna è quello che percentualmente offre maggiori opportunità in termini di misure alternative al carcere ed è stato l’unico a garantire i permessi e le licenze in deroga dopo un solo permesso. È emersa dalle loro parole la sensazione che il Tribunale di sorveglianza consideri come extrema ratio l’esecuzione della pena in carcere e che si voglia invece garantire un percorso di risocializzazione del detenuto all’esterno.

Sul significato della rieducazione, che può oggi essere declinato come risocializzazione, è intervenuta Chiara come volontaria, evidenziando il processo di infantilizzazione che caratterizza la vita della persona detenuta, proprio a partire dal linguaggio, su cui, come detto, la redazione ha lavorato molto nei mesi scorsi. A tal proposito è intervenuta la dottoressa Caravelli che ha concordato sul fatto che molte parole di uso comune in carcere sono la punta dell’iceberg delle dinamiche di deresponsabilizzazione che caratterizzano la pena detentiva, agendo in modo contrario rispetto all’obiettivo della crescita personale per il reinserimento in società. I vocaboli raccontano una quotidianità imprigionata e scandita in modo rigido, con pochissimi spazi per sviluppare autonomia ed iniziativa.
La dottoressa Mirandola, sollecitata da un articolo apparso sulla rassegna stampa della redazione rispetto al ruolo di “telefonista” che ha scelto di ricoprire settimanalmente per colmare il deficit di personale amministrativo e di cancelleria del tribunale, ha evidenziato le note carenze di organico che investono tutta la pubblica amministrazione e l’amministrazione della giustizia in maniera particolare. Ha comunque aggiunto che rispondere direttamente ai solleciti che arrivano al tribunale le consentirà anche di toccare con mano le problematiche reali, avendo la possibilità di intervenire su eventuali lacune nel processo organizzativo.
La dottoressa Mirandola si è inoltre soffermata sull’importanza delle relazioni di sintesi redatte dal gruppo di osservazione trattamentale del carcere, che lei tiene in grandissimo conto nella stragrande maggioranza dei casi perché frutto di un’osservazione attenta condotta da un’equipe presieduta dalla direttrice del carcere e composta di professionisti di varie discipline e dalla polizia penitenziaria. La vita della persona detenuta viene valutata nella quotidianità con grande scrupolo e zelo, e ciò può offrire un’immagine più compiuta rispetto a quella che il magistrato può trarre dagli incontri sporadici con i detenuti.

La presidente ha poi affrontato con grande cognizione e competenza il problema legato alla ostatività dei reati dell’art. 4 bis di prima fascia, alla luce dei rilievi mossi dalla Corte costituzionale e del successivo decreto Nordio. Si tratta di un decreto lacunoso nell’indicare la documentazione da produrre; non fa differenza tra i diversi reati inseriti nel 1° comma e impone al tribunale un’istruttoria più approfondita dai tempi molto più lunghi, dovuti anche alla necessità di individuare udienze ad hoc alle quali partecipi il procuratore antimafia. Richiede in più una verifica attenta delle motivazioni che inficerebbero la collaborazione da parte del detenuto. In passato la collaborazione era invece considerata di per sé significativa ed emblematica della rescissione dei rapporti tra il detenuto e la criminalità organizzata cui aveva preso parte.
Insomma, sono state due ore di dibattito sulla giustizia in generale e sull’esecuzione penale, arricchite dal contributo offerto dai magistrati che non si sono mai sottratti a rispondere e a chiarire ogni dubbio.
Alla fine ci è stato formulato un invito a riprendere gli incontri della redazione con le scuole, interrotti a causa del Covid, al fine di poter condividere percorsi e testimonianze utili ad orientare i comportamenti delle giovani generazioni.
Il sentito ringraziamento della redazione alla presidente f.f. Mirandola, alle magistrate di sorveglianza Manna, Minotti e Caravelli, al vicedirettore Bianchi ha chiuso l’incontro; abbiamo raccolto spunti importanti su cui riflettere nelle nostre prossime riunioni.

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