Indovina indovinello
Salve, sono una prof. di scuola superiore e voglio proporvi un quiz: dovete indovinare dove insegno.
Primo indizio: la mia classe è multietnica, in quanto ci sono studenti provenienti da ogni zona d’Italia; magrebini, asiatici, balcanici, sudamericani… Mi direte che è una scuola del Nord Italia, in quanto nel Meridione la maggior parte degli studenti sono autoctoni…Esatto!
Secondo indizio: la mia classe è formata da studenti la cui età va dai 20 ai 70 anni; non faccio colloqui con le loro famiglie; non sono assidui nella frequenza perché spesso devono lavorare; non assegno mai compiti “per casa” e non uso le TIC… Mi direte che si tratta di I.D.A. (acronimo di Istruzione Degli Adulti)…Esatto!
Vi avviso in anticipo… Adesso la situazione si complica!
Terzo indizio: i miei studenti pernottano nell’edificio in cui è ubicata la scuola, ma sono spesso in ritardo perché devono aspettare l’orario di apertura delle loro stanze… Sbagliato: non è un collegio!
Quarto indizio: ogni anno scolastico è sempre un’incognita perché non so se li ritroverò a scuola… Anzi può accadere che “spariscono” perché cambiano “location” o status giuridico… Sbagliato: non è abbandono scolastico!
Quinto indizio: a fine giornata vanno nella loro camera e non escono più; stessa cosa a fine anno scolastico: non possiamo mai fare nessuna festa “fuori” dalla scuola… Sbagliato: non hanno la sindrome di Hikikomori!
Siccome avete esaurito i tentativi a disposizione, vi svelo che si tratta della “scuola carceraria” presso la Casa Circondariale “Rocco D’Amato” di Bologna o se preferite chiamatela pure carcere della Dozza che è il nome con cui tutti la conoscono sebbene ne ignorino – senza offese, è inteso nel senso etimologico del termine – le condizioni di chi la popola e le attività che all’interno di essa si svolgono.
In queste settimane il binomio istruzione-carcere nella Dozza ha avuto rilevanza mediatica, ma non con accezione positiva perché fanno più “rumore” le notizie negative.
Non ho la presunzione di voler convincere nessuno che la scuola in carcere sia “come tutte le altre” e che l’istruzione carceraria debba essere per forza il trampolino per un reinserimento sociale.
Posso solo esternare la mia esperienza e dire che questi studenti scelgono volontariamente di venire a scuola per le più disparate motivazioni intrinseche e che ogni minuto trascorso con loro è uno scambio umano e culturale interpersonale senza eguali.
Al carcere non ci si abitua mai: cancelli che si chiudono sbattendo alle tue spalle, corridoi lunghi sempre popolati, soffitti bassi, telecamere ovunque e luci sempre accese… Eppure quando si entra in classe succede una specie di magia: l’ambiente angusto lascia il posto agli studenti che per prima cosa ti chiedono “prof. come stai”, segno di rispetto e di riconoscenza verso chi li guarda negli occhi senza pregiudizio, ma con la sola voglia di riuscire a fare scuola normalmente!
In realtà anche io scelgo volontariamente questi studenti “speciali”, sono orgogliosa dei loro progressi, sono soddisfatta quando arrivano al giorno del diploma, sono stupita quando li vedo scrivere su quell’unico quaderno che raccoglie tutte le materie, sono appagata quando ricordano nozioni che risalgono perfino all’anno scolastico precedente… Sono tutte piccole cose, ma importanti per il contesto di riferimento e… come i nostri avi latini ci hanno insegnato “importante” vuol dire portare dentro, perché ogni mio singolo studente, presente e passato che esso sia, ha per me un proprio peso che auspico possa diventare un futuro valore sociale, magari anche grazie alla scuola in carcere!