Fine pena oggi: l’alba di un nuovo inizio

di Fabrizio Pomes/Undici anni. Quattromilacentoquindici giorni. Novantaseimilatrecentosessanta ore. Un’eternità scandita dal rumore metallico di una porta che si chiude, dal silenzio che urla più forte di qualsiasi condanna.

Era il 6 ottobre del 2014. Il cielo plumbeo aveva lo stesso colore di oggi ma sembrava più lontano. Le manette strette ai polsi, il cuore che batteva come se volesse fuggire da me, i flash dei fotografi e le telecamere dei giornalisti. Avevo 48 anni e una vita che si spezzava in due. Da quel momento, ogni giorno è stato un passo dentro me stesso, nel buio, nel rimorso, nella speranza che un giorno, forse, avrei potuto tornare a essere di nuovo qualcuno. Ho visto stagioni passare dietro le sbarre, ho imparato a leggere gli occhi di chi entra e di chi esce. Ho perso pochi amici, ma tanti conoscenti. Ho perso tempo. Mi sono aggrappato a ogni libro, a ogni parola scritta, a ogni lettera ricevuta. Ho pianto in silenzio, ho gridato dentro. Ho chiesto scusa mille volte, anche quando nessuno ascoltava.

E oggi, dopo questi lunghi 11 anni, finalmente la libertà. Non con il clamore che mi ha rinchiuso, ma con un sussurro arrivato via mail: fine pena oggi!

La fine di una condanna è un momento denso di emozioni, una soglia fragile che separa il passato doloroso da un futuro incerto ma carico di speranza. Quando si raggiunge il fine pena, non c’è solo la liberazione fisica, ma anche una profonda trasformazione interiore, fatta di rimpianti, ricordi, paure e desideri di riscatto.

Significa portare con sé il peso di un tempo segnato dall’isolamento, dalla solitudine e dalla sofferenza, ma anche la voglia di rinascere. Ogni passo verso la libertà è un viaggio tra dubbi e speranze, tra la paura di non essere più accolti e il sogno di una vita nuova. C’è chi ha perso affetti e chi li ha ritrovati, chi ha lottato contro la disperazione e chi ha tentato di costruire, anche dentro quelle mura, un seme di futuro.

Il fine pena non è mai un punto di arrivo definitivo, ma l’inizio di una strada difficile da percorrere. Fuori, il mondo corre veloce, mentre dentro si è stati costretti a fermarsi, a osservare, a riflettere. Riconquistare la libertà significa trovare il coraggio di affrontare il giudizio degli altri, di ricostruire relazioni, di rialzarsi dopo ogni caduta. È un cammino che richiede forza, umiltà, e soprattutto la capacità di perdonare sé stessi.

In questo momento fragile e potente, si affacciano ricordi di giorni bui e di sogni infranti, ma anche la consapevolezza che nessun passato può cancellare la dignità che resta nell’anima. Dal profondo del cuore, chi ha vissuto l’esperienza carceraria sa che la libertà più grande non è solo uscire, ma imparare a vivere di nuovo, a sperare, a volare con le proprie ali.

A chi è ancora ristretto, vorrei dire: non perdete la speranza, anche quando l’oscurità sembra invincibile. Ogni giorno dentro è una sfida, ma c’è sempre una luce, anche piccola, che attende di essere scoperta. Non siete soli, e la vostra vita può ancora riscriversi.

A chi mi è stato sempre vicino, credendo in me nonostante tutto e tutti, dedico tutta la mia gratitudine. La vostra fiducia è stata la forza silenziosa che mi ha sostenuto nei momenti più difficili, la voce che mi ha ricordato chi sono e chi posso diventare. Senza di voi, questo traguardo sarebbe stato impossibile.

E così, stappando una bottiglia di bollicine, resta la promessa di una seconda possibilità: quella di chi ha saputo soffrire, riflettere e, infine, rinascere. Perché ogni fine pena porta con sé il seme di una nuova vita, e con essa la forza di guardare al futuro senza più catene.

Dietro ogni storia giudiziaria, dietro ogni errore c’è un cuore che batte. Non il cuore di un colpevole, non quello di un numero di matricola. Ma il cuore di un essere umano che ha pianto, che ha amato, che ha imparato. Un cuore che non ha smesso di cercare redenzione, che oggi esce dalla condanna non per dimenticare ma per ricominciare.