Detenuto ma genitore
di Luca Zindato / Questo mio primo articolo lo voglio dedicare a tutti coloro che, per sensibilità personale, vogliono conoscere quello che accade nelle carceri italiane e in particolar modo in quello bolognese della Dozza , con le realtà nascoste che spesso vengono volutamente occultate alla pubblica opinione.
Sono detenuto alla Dozza da circa un anno e mezzo e ho una figlia di quasi due anni che è la luce dei miei occhi e che con mille sacrifici mia moglie riesce sempre a portarmi a colloquio, un colloquio che vivo sempre con grande disagio in quanto nel carcere manca un’area riservata dove i bambini possano, almeno in quell’ora, non percepire la cupezza di un istituto penitenziario.
Ritengo infatti che nel cuore del dibattito sulla giustizia e sulla riforma carceraria, una questione meriti un’attenzione particolare per il suo impatto profondo sulla società: il mantenimento dei legami affettivi tra i genitori detenuti e loro figli. Questo aspetto cruciale della vita familiare assume un significato ancora più pregnante dietro le mura di un carcere, dove le dinamiche relazionali si trovano a dover superare ostacoli fisici ed emotivi imponenti.
Per i bambini il diritto a mantenere una relazione con i propri genitori è sancito da numerosi trattati internazionali sui diritti umani, tra cui la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia. Nonostante ciò, la realtà dei figli di genitori detenuti spesso racconta una storia diversa, fatta di separazioni dolorose e di incontri limitati dalla freddezza degli spazi carcerari. La separazione forzata può avere conseguenze devastanti sul benessere emotivo e psicologico dei bambini. Studi hanno dimostrato che i figli di genitori detenuti sono a maggior rischio di problemi di salute mentale, difficoltà scolastiche e comportamenti a rischio. Il distacco dal genitore influisce non solo sulla loro sicurezza emotiva ma può anche alterare la percezione che hanno di se stessi e del mondo intorno a loro.
Mantenere un legame affettivo forte tra genitori e figli, nonostante la detenzione, è fondamentale. Il contatto regolare, che può avvenire attraverso visite, lettere, telefonate e, ove possibile, tramite tecnologie digitali, aiuta a preservare un senso di normalità e continuità nelle vite dei bambini. Queste interazioni contribuiscono a rafforzare l’identità familiare, offrendo supporto emotivo ai bambini e incentivando nei genitori un senso di responsabilità e motivazione al cambiamento.
Ma a Bologna nonostante le numerose istanze da me personalmente inoltrate per ottenere iniziative innovative per facilitare questi legami, come spazi di visita più accoglienti, programmi di sostegno alla genitorialità e progetti che utilizzano la tecnologia per mantenere i contatti, ho sempre ricevuto risposte negative da parte dell’amministrazione penitenziaria. Troppe resistenze culturali e limitazioni di risorse hanno fatto sì che il protocollo d’intesa firmato dall’ex ministro Marta Cartabia, dall’Associazione bambini senza sbarre onlus e dal garante per i diritti dell’infanzia e che prevedeva che nelle sale colloquio venisse attrezzato uno spazio riservato ai bambini e nei quali i minori potessero sentirsi accolti con calore e gioiosità, venisse puntualmente disatteso come nel caso dell’istituto bolognese della Dozza.
Per i bambini piccoli, la detenzione di un genitore può essere fonte di confusione, tristezza e ansia. La mancanza di una presenza fisica e la difficoltà di comprendere pienamente la situazione possono influire sullo sviluppo emotivo del bambino e sulla percezione della figura paterna. Inoltre, le visite in carcere possono essere esperienze stressanti, influenzate da ambienti poco accoglienti e da procedure di sicurezza severe.
L’importanza del rapporto affettivo tra figli e genitori detenuti chiama in causa la nostra capacità di guardare oltre le conseguenze immediate della detenzione, riconoscendo e affrontando gli effetti a lungo termine che questa ha sul tessuto sociale. Incentivare e sostenere il mantenimento di questi legami significa non solo agire nel migliore interesse dei bambini ma anche lavorare pro attivamente per la prevenzione della recidiva e per la costruzione di comunità più sicure e coese.
Solo così potremo sperare di aprire le porte a un futuro in cui le sbarre del carcere non rappresentino un ostacolo insormontabile alla crescita e al benessere delle prossime generazioni Attraversare queste sfide richiede un approccio empatico, risorse dedicate e, soprattutto, la consapevolezza che ogni sforzo fatto per mantenere e rafforzare questi legami è un passo verso la guarigione e la speranza.
Alla luce di quanto evidenziato e, pur consapevole dei miei errori e della necessità di dover espiare la mia pena, ritengo però ingiusto e poco dignitoso che i miei errori li debbano pagare anche mia moglie e mia figlia, la mia famiglia e le persone che mi vogliono bene. Lo recita la Bibbia e lo ribadisco anche io.