Chi sono io?
di Fabrizio Pomes/Il corpo è il luogo dove abitano la coscienza e la consapevolezza individuali, un’estensione del sé nel mondo che nella condizione di normalità è lasciato sullo sfondo, dato per scontato. Il primo effetto della detenzione è quello di sconvolgere questo equilibrio, facendo del corpo un pensiero continuo. Nella vita fuori il corpo sta spontaneamente nei contesti che caratterizzano il mondo “normale”: il lavoro, l’operosità, l’attività sportiva, gli interessi di vario tipo; invece, da detenuti, il rapporto del corpo col mondo si risolve nella passività, nell’inattività e nel porsi spontaneamente come oggetti. Anche l’orizzonte temporale si contrae: il futuro diviene opaco, se non addirittura assente dalla prospettiva del detenuto, che si ritrova confinato nel dolore di in un invalicabile presente. Le coscienze spesso si addormentano, e l’individuo tende ad isolarsi, sentendosi espulso dal contesto sociale.
L’irrompere della carcerazione è per molti un evento che provoca una discontinuità traumatica del corso della vita. L’impossibilità di portare avanti negli stessi modi e tempi molte delle normali attività come il lavoro, il tempo libero, le relazioni familiari, amicali ed affettive conduce la persona detenuta a riflettere sulla propria vita e a rimettere in gioco il concetto che ha di sé, del suo ruolo sociale, della sua posizione nei contesti in cui ha sempre operato. A questa involuzione interiore si aggiungono il peso del dolore, la paura della sofferenza fisica e il pensiero della morte, che nella vita all’esterno stanno sullo sfondo. Tutto ciò può potenzialmente scatenare profonde crisi.
E’ evidente quindi come sia necessario svolgere un profondo lavoro sul proprio sé, teso alla ricostruzione della propria identità. La privazione della libertà comporta difficoltà materiali, emotive, sociali e psicologiche e genera profondi interrogativi sul senso della propria esistenza attuale e futura. Tuttavia questo processo non porta sempre a drammatiche conclusioni. Fortunatamente molti riescono a reagire e non vengono erosi completamente dall’esperienza carceraria. Dal carcere si può riemergere, e, se è vero che si perde tutto, forse per qualcuno può realizzarsi l’opportunità di trovare relazioni vere e intense, e una vivida chiarezza rispetto ai valori per cui ciascuno sente che valga la pena vivere. Il carcere può essere vissuto come possibilità di cambiamento. Per quanto si possa certamente essere affranti per ciò che non si può più essere, la detenzione dà modo di scoprire chi si può diventare, proprio grazie alle ristrettezze che fanno emergere ciò che davvero conta.
La vita continua ad essere vissuta e l’esperienza del carcere può paradossalmente diventare un’occasione morale per ricostruire o ripristinare la propria capacità di intervenire sulla realtà, ristabilendo l’ordine delle priorità che forse fuori si era ribaltato. Il laboratorio di giornalismo e le altre occasioni di scrittura, insieme alla corrispondenza col mondo esterno sono spunti importanti per innescare un percorso virtuoso di lavoro su di sé. Attraverso la dimensione descrittiva e narrativa dei vissuti di detenzione è possibile analizzare come le persone attribuiscano senso alla loro esperienza, perché grazie alla scrittura viene svolta un’attività di organizzare del pensiero, di interpretazione della realtà, di ricerca di significato. Riflettendo e scrivendo i tanti vuoti possono colmarsi, aiutando l’individuo a ritrovare il filo della propria esistenza e delle energie vitali, e a riordinare le esperienze collegando significati ed eventi. La riflessione sulla propria storia si attiva per fronteggiare gli eventi di rottura anche in un tentativo di capire perché le cose sono andate in un certo modo, cercando di normalizzare la sofferenza.
Il cambiamento prodotto dalla detenzione origina dall’impossibilità del sé di agire come protagonista, perché manca una immediata possibilità di intervento sul reale. Per sovvertire questo brusco cambiamento per molti è utile e necessario elaborare la propria esperienza, collocandola nel presente della detenzione per ritrovare energie vitali e forza per affrontare il futuro con responsabilità e consapevolezza. Attraverso le narrazioni di vita carceraria è possibile capire come la detenzione viene vissuta, se è intesa come irruzione, come sovvertimento, come evento prevedibile, se rappresenta solo sofferenza e perdita di sé o se diviene occasione di riconquista di sé stessi all’interno della propria storia.