Un’autrice brasiliana in Italia dal 1990, una giovane poetessa che a 12 anni è emigrata dalla Romania Comunista, uno scrittore iracheno laureatosi in Italia e ora docente di lingua araba: non “scrittori migranti”, ma scrittori che, in quanto tali, nei loro testi parlano anche di migrazione.
Così si sono definiti Christiana de Caldas Brito, Livia Claudia Bazu e Gassid Mohammed, invitatati a intervenire al convegno “Le scritture migranti e la rappresentazione dell’altro nell’immaginario collettivo”, organizzato nell’ambito del progetto Words4link e tenutosi lo scorso venerdì 8 novembre alla Biblioteca Salaborsa.
“Il progetto Words4link è stato presentato in aprile 2018 dopo mesi di un’estenuante campagna elettorale che ha creato in Italia un clima molto pesante” ha spiegato la coordinatrice dei lavori Sandra Federici della Cooperativa Lai-momo, ente capofila del progetto: “In tutto il fluire di notizie, la presa di parola da parte di cittadini stranieri era rilevata al 7%, ma la maggior parte degli interventi riguardavano testimonianze di aggressioni a sfondo razziale.”
Nel parlare di letteratura della migrazione si pone un problema di definizione: chiamata anche letteratura postcoloniale o transnazionale, è rappresentata da quell’insieme di testi scritti da autori migranti - di prima o seconda generazione - nella lingua del paese d’arrivo, i cui temi generalmente sono la partenza, l’inserimento, le radici e l’appartenenza e che presentano una serie di caratteristiche comuni.
Di queste caratteristiche comuni sono stati forniti numerosi esempi durante il convegno.
Christiana de Caldas Brito, partendo dalla descrizione della condizione del migrante all’arrivo, caratterizzata dall’incapacità di comunicare e dall’avvertimento di suoni indistinti, ha ricordato come lei, appena giunta in Italia, avvertisse il suono della “c” come associato alla rabbia: nella sua produzione letteraria ancora questo suono rappresenta la rabbia e quindi la non-identità.
Di doppia identità, invece, ha parlato Livia Claudia Bazu, incapace di liberarsi delle proprie radici, ma anche di sentirle ancora proprie. Scissa tra la sua identità romena e quella italiana, è alla ricerca in poesia di una estetica della mondialità, capace di rendere in parole la necessità di sentirsi a casa ovunque, nell’ambito di un processo di emancipazione dalla madre patria, difficile ma necessario.
La letteratura della migrazione è un fenomeno complesso che in Italia ha avuto inizio negli anni ’80, con l'omicidio del bracciante agricolo sudafricano Jerry Maslo, evento che suscitò in Italia un'ondata di emozioni; da qui si è sviluppato in più fasi, dalla pubblicazione di vari libri scritti a quattro mani, soprattutto biografie, alla nascita di case editrici specifiche e primi premi, riviste, come “El-Ghibli”, fondata da Pap-Khouma, “Letterranza” e altre iniziative come la banca dati BASILI, creata da Armando Gnisci per raccogliere i testi pubblicati, fino alla fase più recente caratterizzata da un pullulare di autori nord-africani e dalla nascita di laboratori di scrittura interculturali.
A proposito di laboratori di scrittura, sono stati invitati a intervenire al convegno Roberta Sangiorgi, giornalista fondatrice di Eks&Tra, associazione ideatrice del premio per scrittori migranti, e Fulvio Pezzarossa, docente di Sociologia della Letteratura all’Università di Bologna. I due hanno raccontato l’esperienza nata dalla loro collaborazione: il laboratorio di scrittura interculturale, poi diventato laboratorio di scrittura collettiva meticcia, ogni anno organizzato nella sede del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica e che, pur essendo a partire dal 2015 compreso tra le attività curriculari, è aperto anche agli esterni.
"L’intenzione del laboratorio è sempre stata quella di creare relazioni attraverso la scrittura" ha affermato la Sangiorgi, e sulla scorta di questo intento ha spiegato il passaggio alla scrittura collettiva e meticcia: la relazione è qui necessaria, bisogna giungere a degli accordi per arrivare al racconto. Sono riuscite in questo le ragazze che compongono il collettivo Juana Karda, ex allieve del laboratorio, che continuando a frequentarsi e a scrivere insieme sono giunte alla pubblicazione de “Le molte vite di Magdalena Valdez”, migliore dimostrazione dei risultati di questo laboratorio.
Purtroppo Sangiorgi e Pezzarossa hanno fatto presente che, in seguito alle più recenti politiche dello Stato Italiano, la frequenza di ragazzi stranieri al laboratorio è fortmente diminuita; Fulvio Pezzarossa ha poi continuato il proprio discorso riallacciandosi allo scopo dichiarato del convegno: parlando del rapporto che intercorre tra i media italiani e la letteratura della migrazione, lo ha descritto come superficiale e disinteressato, esemplificandolo con vari aneddoti e constatando che non esiste ancora una biblioteca che raccolga e organizzi tutti i lavori riconducibili al genere.
“L’Italia è troppo concentrata su sé stessa” ha asserito anche Gassid Mohammed, scrittore e traduttore iracheno, ultimo ad intervenire. Da lui apprendiamo che anche per quanto riguarda la cronaca estera i media italiani non si rivelano esaustivi: delle tante guerre che oggi affliggono il mondo se ne sa pochissimo in Italia, e ciò determina una difficoltà di comprensione dei fenomeni migratori, spesso strettamente legati alle vicende belliche.
Per quanto concerne l’Iraq, Gassid Mohammed ha spiegato quali motivi hanno spinto gli iracheni a cercare rifugio altrove in seguito alle due Guerre del Golfo e all’invasione americana del 2003.
Lasciando poi perdere i motivi tragici che a volte generano flussi migratori, ne ha messo in luce la positività: "I primi a essere oppressi e perseguitati in questi conflitti interni sono scrittori e artisti, soprattutto quando arrivano regimi estremisti e religiosi […] La maggior parte degli scrittori e artisti iracheni, siriani, palestinesi, egiziani arrivano in Europa perché l’artista cerca sempre spazio, libertà per esprimere ciò che ha da dire [...] L’Europa è ormai il posto in cui rifugiarsi; ci sono molte conseguenze dell’arrivo di questi personaggi importanti, scrittori, poeti e editori. Questa è una ricchezza perché costituisce uno scambio".
Al termine dell'evento, uno spazio è stato dedicato a ridefinire concetto di "scrittore migrante"; Christiana de Caldas Brito ha preso la parola per ribadire che "i primi a volersi togliere quest'etichetta" sono loro, gli scrittori, bollati come "migranti" anche nel proprio mestiere. Dimostrando l'insofferenza nel veder la propria creatività imprigionata in un unico genere, ha dato modo di capire che per valorizzare questi testi non bisogna considerarli solo in ragione del tema che affrontano, ma del loro essere letteratura.