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di Pasquale Acconciaioco/La pena di un detenuto vissuta e descritta tutta d’un fiato, quando la delusione è troppa e il caos invade la mente

Si apre il cancello e la macchina entra, mi scarica. Mi guardo intorno e mi prendono le impronte: perquisizione, matricola… uno va e l’altro viene; c’è silenzio nella mia cella, c’è silenzio nel mio cuore. Mi spostano. Vado in sezione o in infermeria? Non si sa. Qualcuno grida, altri si tagliano, si sentono urla. Abbassa il volume che devo dormire; sento chiavi, sento passi, c’è silenzio.

Mi sveglio: dove vado? Aria, scuola… Mi chiama l’agente per la matricola, mi chiama l’avvocato, mi chiamano per portare il carrello del pane; c’è confusione nella mia mente, mi sono perso! Ma qui dentro è più facile morire che perdersi. Chiamo lo scrivano e si presenta lo scopino che poi chiama lo spesino, qui è tutto un diminutivo. C’è il sovraffollamento, ci hanno ridimensionato, siamo incastrati l’uno con l’altro, non c’è più spazio per le grandi imprese, bisogna avanzare a piccoli passi. Faccio due passi, vado all’aria ma il tempo non passa, due ore sono lunghe. Passano i minuti, passano le ore, passano i giorni, passano i mesi. Questo mese è lungo, eppure passano anche gli anni, il primo, il secondo, il terzo, il quarto… C’è la giustizia? C’è l’indulto? Si parla del pacchetto giustizia ma ci hanno fatto un pacco. 

Mi sento male, mi viene un infarto? Misuro il polso, mi misurano la pressione, mi sento pressato e impressionato, ci vorrebbe qualche misura. Misura detentiva o misura alternativa? Affidamento al lavoro? Presento l’istanza.

Troppo volume! C’è confusione, musica rock, musica alternativa; ma la musica è sempre lenta, c’è arretratezza… le cose vanno piano, ma, chissà, forse ci siamo. Sono le dieci e mezza, arriva il corvaccio e la musica è sempre la stessa: firmo il rigetto. Anche stasera non esco. Ma come mai? Chi l’ha detto? Tu? No. Lui? No. Si è pronunciato il magistrato: manca la relazione dell’Uepe! Uepe qua, Uepe là, ma dove è chi lo sa?

La domenica vado a messa e faccio una preghiera: fa che l’Uepe ritrovi la sua strada. Ritrovarsi… Incontro gli amici, incontro il Signore e ascolto il Vangelo. Scambiatevi un segno di pace! Ma qui dentro c’è una pace che sembra quasi troppa, la guerra è fuori, noi siamo immobili.

Ricomincio. Colloqui, famiglia, figli, soldi, lavoro che non c’è. Tocca a me? Tocca a te? Rotazione ogni cinque mesi: ne passano sei, sette, otto.

Fa freddo e mi metto il giubbotto, mi chiamano per il colloquio. C’è mia moglie, c’è mia madre: sacrifici avanti e indietro, e io ancora qua. Mi manca poco, io ci riprovo; sto sotto istanza, penso, mi chiudo in me stesso e aspetto. Chiusura di qua, chiusura di là, passa l’infermiera, passa l’assistenza, passa la vita.

Arriva di nuovo il corvo nero, la matricola, il gufo, l’assistente che mi dice “firma, firma il rigetto che non puoi uscire, come mai non si sa”. Ma chi lo sa? Tu? No! Lui? No. Lo sa lo psichiatra che ha conferito con lo psicologo che poi ha avvertito il magistrato: motivazione “Non hai preso coscienza di quello che hai fatto!”. Coscienza e incoscienza, qualcuno è in partenza, qualcuno arriva. Nuovo giunto, chi sei? Cosa hai fatto? Quanto ti hanno dato? Il reato è pesante, ma non fa niente. Il tuo avvocato non è mica il mio… è preparato, è abituato, in due o tre giorni ti tira fuori, basta soltanto la presenza, non c’entra la coscienza!

Faccio un caffè, oppure un the. Non voglio stare più con te. Cambio cella, faccio una domandina, ne faccio un’altra, faccio il letto, mi faccio una doccia. Mi rinfresco le idee, ma quali? Non ne ho più, sono evaporate. Domandina di qua, domandina di là, che fine ha fatto non si sa. Chiedo all’assistente e lui risponde che ad alcune domande non vale la pena rispondere. Ok, anche questa e la pena.

Vado a giornalismo, Ne Vale la pena! Leggiamo questo, leggiamo quello, ridiamo, scriviamo e festeggiamo insieme un altro Natale che se ne va.

Tum, tum, tum: battitura. Si dorme, si guarda un film, si pensa alla moglie, ai figli, alla libertà. Passa il tempo, ne passa troppo, preparo un sacco, che non è quello di Babbo Natale. Prendo questo, prendo quello, saluto qua, saluto là. Vado di fretta, non ho più pazienza, non trovo più la mia coscienza. Si aprono i cancelli, ed esco col mio sacco nero, cammino, cammino, ma la mente pensa al passato, ai ricordi lasciati alle spalle che piombano tutti in un lampo, mentre, all’improvviso, una brusca frenata. C’è uno che si affaccia al finestrino “Ma guarda dove cammini, non vedi che il bidone della spazzatura è alle tue spalle?”. Rispondo “Non posso voltarmi, conosco il bidone, ma voglio rimanere pulito, non voglio più sporcarmi. Mi hanno scaricato qui, non so se hanno preso coscienza di quello che mi hanno fatto”. “Ma vieni da Marte?” mi sento dire dall’autista incredulo. Rispondo che forse lassù c’è più cuore e meno sporcizia e che se qualcuno da là venisse a controllare la Terra, come fanno quelli dell’Uepe con noi, si accorgerebbe subito che gli umani difficilmente prendono coscienza di quello che fanno.