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di Fabrizio Pomes / Questo articolo vuole esprimere in parole il profondo scetticismo che ormai da anni ho maturato nei confronti del sistema politico italiano, drogato dai sondaggi e incapace di realizzare seri progetti di riforma che guardino alle future generazioni.
La giustizia è uno di quei capitoli ancora incompiuti, nel cui campo minato i nostri legislatori evitano di cimentarsi in maniera coraggiosa e facendosi piuttosto condizionare dalle appartenenze ideologiche o, peggio, dal ‘teniamo famiglia”.

Troppo spesso, infatti, il malpancismo e la ricerca del consenso fine a se stesso ha portato a scelte non solo discutibili ma anche caotiche e prive di coerenza, senza sviluppare un serio ragionamento.
Hanno prevalso logiche ispirate dalla contrapposizione ideologica tra garantisti e giustizialisti, quando il garantismo e il giustizialismo sono pure etichette di parte spesso vuote di reale contenuto; “Il garantismo e il giustizialismo sono pure espressioni ideologiche, entrambe prive di capacità costruttiva” ha dichiarato alla stampa Luciano Violante. Servono solo a difendere antiche sterili identità: allora meglio stare ancorati saldamente al costituzionalismo facendosi guidare dalla bussola delle sentenze prodotte dalla Corte Costituzionale.

Il governo in carica, per esempio, ha esordito con un decreto al fotofinish per ottemperare alla sentenza della Corte Costituzionale che ha sostenuto l’illegittimità dell’ergastolo ostativo nel nostro ordinamento in assenza di collaborazione, e cioè della condizione necessaria per l’accesso alle misure alternative alla detenzione. Ne è uscito un dispositivo che ha reso impraticabile qualsiasi percorso volto al godimento dei benefici penitenziari per gli ostativi, in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Corte e con il dettato della sentenza.

Sì, perché in Italia non c’è niente di più definitivo delle leggi emergenziali. Tutta la normativa antimafia fu elaborata negli anni dello stragismo corleonese e si è andata man mano sedimentando a suon di aumenti di pena e di inasprimento delle condizioni detentive, anche perché nel frattempo in Italia tutto era diventato mafia, con l’affermazione di un sistema che giustamente l’autorevole giornalista Alessandro Barbano nel suo libro “L’inganno” chiama la “mafia dell’antimafia”. Ciò ha determinato il sequestro e la confisca di numerose aziende il cui destino è stato segnato da fallimenti, e la pedissequa accettazione del “doppio binario” che in qualche modo deve colpire e spesso affondare vissuti e imprese. A tutto questo si è aggiunto un art. 4 bis che per quel tipo di imputazione prevedeva una ostatività totale. Ma i tempi sono cambiati e anche la mafia è cambiata. E quindi il problema era che la mafia non uccideva più ma che attraverso un meccanismo di cosiddetta “mafia silente” si infiltrasse nell’economia sana del Paese drogandola attraverso un perverso meccanismo di alleanze con la classe politica e con quella dirigente del Paese. E allora fu pensato di inserire nel 4 bis di prima fascia anche i cosiddetti “reati spia”, in qualche modo prodromici rispetto all’infiltrazione mafiosa, quali ad esempio la concussione e la corruzione dei pubblici amministratori. E’ stata forse la prima volta che lo Stato ha inteso punirsi e punire i “colletti bianchi”. Tutto e durato poco, molto poco.

Il nuovo governo, ossequioso al suo programma elettorale ha da subito cancellato tutto il lavoro, durato anni, per giungere alla definizione del Codice degli Appalti pubblici cancellandolo con un colpo di spugna e riconsentendo il ricorso agli affidamenti diretti o a trattativa privata, ammantando tale scelta come necessita di velocizzazione e semplificazione delle procedure anche in considerazione dell’arrivo dei fondi del PNRR. Certo questa grande libertà concessa agli amministratori pubblici avrebbe comportato una serie di iniziative giudiziarie, e allora niente di più facile che abolire il reato di abuso d’ufficio. “L’abuso di ufficio, nonostante l’intervento legislativo del 2020, è rimasto un reato non sufficientemente delineato dalla norma” ha tuonato Sabino Cassese sulle colonne del Giorno “ed è quindi corretto che fosse eliminato.
E che dire allora del reato di concorso esterno in associazione mafiosa che non è addirittura neanche normato? Per tipizzarlo i diversi governi hanno coinvolto commissioni di studio composte da autorevoli giuristi, che non hanno prodotto alcun risultato pratico, lasciando alla fine alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione il compito di delinearlo con sentenze spesso contraddittorie.

Questa assenza di visione produce disaffezione verso la politica in generale, di cui è prova lampante la sempre più scarsa partecipazione al voto; inoltre la sfiducia dei cittadini e dei detenuti verso la giustizia dovrebbe suonare come un campanello d’allarme.
È evidente che quando si vuole le cose si fanno e anche subito, quando non le si vuole fare allora si inventano le commissioni, gli stati generali e le figure, ormai tanto care a noi italiani, dei garanti. A questi ultimi e riservato l’ingrato compito di “ululatori al vento”. Con grande zelo e professionalità denunciano, nel silenzio più assordante, le condizioni disumane delle carceri, il sovraffollamento, l’aumento dei suicidi, la necessita di limitare il ricorso al carcere, il malfunzionamento della sanità carceraria, l’inadeguatezza del sistema a rispondere ai dettati costituzionali dell’art. 27, la necessità di misure alternative per diminuire la recidiva e via dicendo. Tutte richieste sensate quelle che provengono dalla comunità delle persone private della libertà personale, che col tempo hanno creato la “confraternita degli elemosinieri scalzi” e che attendono invano solo che qualcuno decida di esaminarle nel dettaglio.

Ma cosa aspettarci da una classe politica che confonde il 4 bis di prima fascia con il 4l bis?
Purtroppo la delusione è troppa e forse leggere e scrivere di carcere e di esecuzione penale nella disattenzione generale ha un effetto boomerang che genera solo rabbia e scoramento.
Ci resta solo il gusto di individuare anno per anno chi sarà il politico che potrà ambire alla conquista del prestigioso titolo di Presidente dell’illustre “club delle parole al vento”. Almeno questo voto lo stato non ce lo può togliere.